Alfredino Rampi oggi si sarebbe salvato? La risposta dello speleologo che partecipò ai soccorsi

Se accadesse oggi un evento simile a quello di Vermicino, non è escluso che possa finire di nuovo tragicamente. 

Dalla morte nel pozzo artesiano di Alfredino Rampi, l’Italia ha imparato molto nel campo dell’organizzazione dei soccorsi. Ma Tullio Bernabei, speleologo che all’epoca fu a capo della delegazione Lazio del Soccorso Alpino e Speleologico, non esclude che quella tragedia possa ripetersi.

Alfredino Rampi oggi si salverebbe? La risposta dello speleologo che partecipò ai soccorsi
Alfredino Rampi oggi si salverebbe? La risposta dello speleologo che partecipò ai soccorsi (Ansa Foto) – inews24.it

Ai nostri microfoni, il soccorritore dichiara: “Si è fatto tesoro di quella esperienza terribile. Oggi ci sarebbe un’organizzazione, una strategia, che allora non ci fu. Non ci fu tempo di analizzare, capire. Diventò una specie di circo con tantissima gente in mezzo e non ci si poteva concentrare per non commettere errori. Oggi abbiamo tutti gli strumenti per organizzarci, ma purtroppo dal punto di vista fisico e tecnico, dopo 40 anni, non esiste un sistema per recuperare velocemente i bambini piccoli che cadono in pozzi in cui l’uomo soccorritore non può scendere”.

Tullio Bernabei aveva 22 anni quando arrivò a Vermicino, vicino Frascati, per affiancare i vigili del fuoco nella missione di estrarre Alfredino Rampi nel pozzo artesiano. Oggi, 13 giugno, sono passati 43 anni dal tragico giorno in cui il piccolo di 6 anni morì.

Bernabei: “La tecnica è rimasta sempre la stessa”

In tutto questo tempo la tecnica “è rimasta quella della perforazione laterale, che non è evoluta in 40 anni. Oggi, invece di forare in due giorni, si forerebbe in uno. Ma è comunque troppo tempo per garantire la vita del bambino in condizioni di ipotermia. Al di là delle ferite riportate, la Terra in profondità è umidissima e fa sempre freddo. Quindi oggi, con un caso simile, non credo che avremmo successo”. 

Proprio questo è il motivo che ha spinto Tullio Bernabei a mettere su una squadra per creare il prototipo di un mini-robot salva-bambini, di piccole dimensioni e in grado di scendere nella profondità dei pozzi strettissimi e almeno tenere in vita i piccoli mentre si scava. Il progetto è stato portato avanti dalla Protezione civile italiana, dall’Università de L’Aquila, dal Politecnico di Torino, dai vigili del fuoco e dal Corpo nazionale soccorso alpino.

L’Italia ha partecipato a un bando europeo con Spagna e Slovenia e nelle prossime settimane è attesa una risposta. Quando chiediamo a Tullio Bernabei di ricordare quelle 60 ore di apprensione per Alfredino Rampi, lui ci risponde: “È una domanda impegnativa, non ne ho parlato per anni”. Ancora oggi, guardare quelle scene degli archivi, per lui è una sofferenza.

Alfredino Rampi oggi si sarebbe salvato? La risposta
Alfredino Rampi oggi si sarebbe salvato? La risposta (Ansa Foto) – inews24.it

La tragedia di Alfredino Rampi si verificò tra il 10 e il 13 giugno del 1981, dopo che il bambino cadde accidentalmente in un pozzo artesiano. I tentativi di salvarlo furono inutili e le operazioni di soccorso si rivelarono fin da subito difficili a causa delle dimensioni strette e lunghe della cavità.

In un primo momento si tentò di riportare il bambino in superficie calando una tavoletta legata a delle corde, così che lui si aggrappasse. Quest’ultima però, si incastrò nel pozzo a 24 metri di altezza, molto sopra ad Alfredino, e non fu più possibile rimuoverla perché la corda si spezzò.

Gli speleologi arrivarono sul posto l’11 giugno e Tullio Bernabei fu il primo a calarsi a testa in giù. Operavamo per togliere la tavoletta, ma il responsabile decise che l’operazione era lunga e pericolosa perché poteva cadere qualcosa sulla testa del bambino”. Dopo di lui si calarono altri due soccorritori, ma nessuno riuscì a togliere la tavoletta. La discesa a testa in giù, racconta lo speleologo, “è una tecnica nota, che però ha dei limiti legati al tempo di permanenza a testa in giù”. Questa tecnica viene usata sui ghiacciai per prendere persone precipitate nei crepacci, che sono larghi. Il pozzo invece, “arrivava a un diametro minimo di 27 centimetri nelle parti profonde”.

Durante lo scavo del tunnel parallelo Alfredino scivolò

Il comandante dei vigili del fuoco pensò di concentrare i soccorsi sullo scavo di un tunnel parallelo al pozzo, per aprire un cunicolo e avvicinarsi al punto dove si trovava il bambino. Questo momento fu determinante per due motivi. Il primo: lo scavo purtroppo durò molto più del previsto. Il secondo: le vibrazioni prodotte da esso e dalla percussione, fece scivolare ulteriormente il bambino di 30-32 metri circa. Noi rimanemmo spettatori quando decisero di non prendere in considerazione la nostra proposta e di proseguire con il pozzo. Quindi ci facemmo da parte e venimmo nuovamente chiamati sulla scena solo nei momenti drammatici in cui, scavati pozzo e tunnel, i vigili del fuoco non trovarono il bambino perché era scivolato”.

A quel punto Bernabei si calò per la seconda volta: “Scesi nel pozzo scavato per misurare a che distanza stava il bambino”, che si trovava a circa 60 metri dalla superficie. “A quel punto ci dissero di procedere noi, facendo quello che volevamo fare all’inizio nella parte alta del pozzo”. 

Alfredino Rampi, il racconto dello speleologo Tullio Bernabei che partecipò ai soccorsi
Alfredino Rampi, il racconto dello speleologo Tullio Bernabei che partecipò ai soccorsi (Foto di Facebook) – inews24.it

Angelo Licheri, all’epoca 36enne (morto a Cagliari nel 2021) si calò a testa in giù: “Era molto piccolo e determinato, aveva un coraggio che non ho rivisto mai più in vita mia in nessuna persona”, ricorda Bernabei. “Riuscì ad arrivare sul bambino ma purtroppo le condizioni di spazio e tecniche rispetto al fango e all’olio di perforazione, gli impedirono di muovere Alfredino e tirarlo su. Angelo Licheri restò 40 minuti a testa in giù: il massimo consentito è 15. Lo recuperammo per un pelo in stato di semincoscienza”.  Dopo Licheri scese un altro volontario “però senza successo. Il bambino a quel punto non respirava più”.

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