Giorgia Meloni ha presentato un esposto sui decreti flussi in Italia. Nella denuncia l’immigrazione irregolare, in particolare dal Bangladesh.
Gli occhi pieni di speranza, seppur stanchi: ha appena attraversato mezzo mondo per lavorare in un Paese europeo. Il sogno di uno stipendio dignitoso, una migliore qualità di vita, un’impresa pronto a valorizzarlo. Ahmed ha pagato anche una discreta cifra per realizzare quell’idillio e per “farsi individuare”. Una volta sceso dall’aereo, però, il terrore. Il contratto non c’è, il permesso di soggiorno nemmeno. Solo, in un Paese a 9mila chilometri da casa. Nel peggiore dei casi diventerà un fantasma sul suolo italiano, finendo a vivere in minuscoli appartamenti insieme a decine di connazionali e lavorando per pochi spicci in nero; nel migliore, si rivolgerà ad associazioni che proveranno ad aiutarlo.
“Buongiorno, non riesco a trovare il mio datore di lavoro”. È una storia che si ripete da anni e ne ha visti e segnalati alle autorità moltissimi Mohammed Taifur Rahman Shah, presidente dell’associazione Italbangla, attiva a Roma dal 1992. Già molto tempo prima della denuncia pubblica della premier Giorgia Meloni, con la quale peraltro il presidente si trova “perfettamente d’accordo su tutto ciò che ha detto”. In esclusiva per iNews24, Rahman Shah ha confermato il fenomeno descritto da Meloni: “Vengono utilizzati questi flussi, c’è uno scambio di visti e di lavoro. Ci sono trafficanti che fanno compravendita. Sono coinvolti anche sindacalisti e mediatori che producono i nulla osta e li vendono. I lavoratori poi non vengono assunti ma vengono fatti entrare dall’estero previo pagamento di migliaia di euro”.
Facciamo un passo indietro. Il 4 giugno scorso la presidente del Consiglio ha consegnato nelle mani del procuratore nazionale dell’Antimafia e dell’Antiterrorismo Giovanni Melillo un esposto sull’applicazione degli ultimi decreti flussi. Il governo sospetta che qualcuno stia utilizzando la procedura come un ulteriore canale di immigrazione irregolare: la regia potrebbe essere della criminalità organizzata, italiana ed estera. Dati abnormi e sfalsati tra domande presentate, lavoratori in ingresso e contratti stipulati hanno fatto scattare numerosi campanelli d’allarme. Troppe le richieste ricevute dal Viminale soprattutto al centro ed al sud del Paese, troppi i lavoratori in arrivo specialmente dal Bangladesh rispetto ai contratti effettivamente stipulati.
Verso l’Italia dati abnormi dal Bangladesh: il fenomeno dei flussi
Perché c’è un altro dato da specificare: per arrivare in Italia il decreto flussi prevede dei “click day” durante i quali i datori di lavoro fanno richiesta di lavoratori dall’estero. Basta la sola “intenzione” di stipulare un contratto affinché gli stranieri possano ottenere il nulla osta per partire. “L’Italia per i lavoratori del Bangladesh è una grande attrazione, è un sogno. – ha continuato il presidente di Italbangla – Ma i mediatori li usano come uno ‘strumento’: li sfruttano e pretendono soldi per farli arrivare in Italia”.
Chi sono i mediatori-criminali cui fa riferimento il presidente? Si tratterebbe di professionisti che “individuano” nei Paesi stranieri, tra cui il Bangladesh, appunto, le persone che vogliono arrivare in Italia, pronti a pagare fino a 15mila euro. Nel frattempo, in Italia, altri soggetti ricercano società o imprenditori idonei per la truffa. Per partecipare al click day c’è bisogno di determinati requisiti: uno su tutti, la capacità economico-finanziaria di poter assumere lavoratori. Ma tramite artifizi, tutto è possibile. Anche mascherare una salumeria di quartiere in un’azienda di media dimensioni dedita all’import-export della ristorazione dai bilanci solidissimi. A completare il puzzle una maglia dei controlli non proprio strettissima.
Nessun barcone, quindi, nessuna camminata nel deserto, nessun mitra puntato alla testa. Sono lontanissime le scene viste in “Io capitano” di Matteo Garrone. Nel caso che stiamo raccontando basta un click. “Il click day è uno strumento che favorisce la corruzione. – ha sentenziato Mohammed Taifur Rahman Shah – In pochi giorni si invitano milioni di persone ad effettuare le richieste. Non si decide sulla qualità o sulla capacità del lavoratore, ma è una corsa a tempo per fare il primo in graduatoria. Tutti in Italia lo sanno, dalle associazioni categoria ai datori di lavoro. E anche chi non ha la possibilità di assumere richiede l’assunzione di centinaia di persone. In questo modo si stanno truffando milioni di lavoratori stranieri”.
Una delle Procure più attive sul fenomeno è quella di Napoli, con a capo Nicola Gratteri. C’è ancora massimo riserbo sulle inchieste in corso, ma a seguito dell’esposto di Meloni è trapelato che si sta indagando su circa ottanta casi e che nel fascicolo sarebbero già stati iscritti una ventina di nomi. La catena dell’illegalità coinvolgerebbe imprese compiacenti ma anche intermediari, legali, consulenti dei Centri di assistenza fiscale, impegnati a vario titolo nelle pratiche per fingere che i migranti giungessero in Italia con la sicurezza di un posto di lavoro.
Il presidente di Italbangla: “Tutti in Italia lo sanno, abbiamo denunciato”
“In Italia tutti conoscono il fenomeno. – ha spiegato il presidente di Italbangla – Noi abbiamo sempre pubblicamente denunciato questo sistema ma nessuno è mai intervenuto, né politici né organi pubblici. Si rivolgono a noi persone che, una volta giunte in Italia, non riescono a trovare i datori di lavoro. Ci chiedono assistenza per cercarli e per il permesso di soggiorno. A quel punto scriviamo alla Prefettura e denunciamo le irregolarità alle autorità, ma non abbiamo mai avuto riscontro. Forse pervengono loro un gran numero di queste segnalazioni e sono rallentate. Comunque sia, anche denunciando non abbiamo trovato riscontri da chi avrebbe dovuto indagare”.
Nel suo piccolo, però, l’associazione di Mohammed Taifur Rahman Shah sta già combattendo il fenomeno con successo. L’obiettivo è distogliere i bengalesi dai canali e dai flussi criminali, impedendo loro di finire tra le grinfie dei malviventi, sensibilizzandoli ed attivando procedure trasparenti. Per farlo, Italbangla collabora con il ministero del Lavoro, l’Università di Siena e diverse realtà produttive per un progetto pilota chiamato “Bangla Dream”. “Troppe volte i bengalesi arrivano in Italia impreparati, senza conoscere né la lingua né un mestiere. – ha affermato il presidente – Allora dobbiamo formare queste persone prima che arrivano a Roma. Solo così possiamo bloccare il fenomeno, costruendo un’alternativa ai flussi illegali ed alla compravendita di visti”.
Nei primi giorni di giugno, mentre la premier presentava l’esposto all’Antimafia, in Bangladesh decine di persone sostenevano con successo l’esame di italiano: adesso hanno in tasca il certificato A1. “L’Italia ha bisogno di lavoratori – ha concluso Mohammed Taifur Rahman Shah – e noi collaboriamo con agenzie ed imprese che necessitano di professionisti formati e preparati nell’edilizia, nel tessile, nella ristorazione e nel turistico-ricettivo”. In bocca al lupo.