Valerio Piccolo ha scelto di raccontarsi attraverso la musica: le sue sono note che hanno rappresentato il suo esistere. Note che restano.
Nato a Caserta, è stato sempre attivo tra Roma e New York, e la sua carriera ha avuto diversi momenti felici. Brani su brani, collaborazioni con grandi artisti internazionali e diversi album che hanno trasmesso al meglio il suo mondo interiore. Oltre alla sua attività musicale, nota è anche il ruolo di traduttore e adattatore per libri, teatro e cinema che ha sempre impersonato nel corso degli anni. L’artista ha infatti tradotto e adattato dialoghi per più di 350 film, tra cui quelli di rinomati registi come Steven Spielberg, Tim Burton, Quentin Tarantino, Clint Eastwood e Roman Polanski.
Un lavoro, questo, che è stato ben riconosciuto dal pubblico, tanto che in tutto questo tempo ha vinto diversi premi e riconoscimenti. Adesso, come lui stesso ha raccontato, l’ennesimo sogno si realizza: il brano Sì arrivata pure tu sarà la canzone originale del film Parthenope di Sorrentino. Una vita all’insegna dell’arte, quella di Valerio Piccolo, che continua oggi a farsi notare per i suoi piccoli momenti di quotidianità, conquistati pian piano e un sogno alla volta. Proprio come racconta il nuovo brano Senso che, ancora una volta, ha saputo abbracciare i pensieri di ognuno e trasformarli in speranze.
“Chiudere gli occhi per vederci meglio, per respirare e lasciarsi andare”, descrivi così il tuo ultimo disco. I tuoi lavori iniziano tutti in questo modo, chiudendo gli occhi e respirando?
Vorrebbero iniziare in questo modo. In passato forse non sono cominciati tutti così, ma con un pizzico in più di frenesia. Questo momento artistico rappresenta per me la chiusura di un cerchio e anche una ripartenza, e forse un momento di maturità che mi permette di essere più tranquillo e di respirare. Ad occhi chiusi riesco a guardarmi meglio dentro, e questo è sicuramente il modo migliore per riuscire a proiettarsi nel mondo esterno. Per creare qualcosa, è sempre bene guardare dentro le piccole cose.
Stare ad occhi chiusi vuol dire anche restare soli con sé stessi. È stato così che ti sei approcciato alla musica?
Sì, la musica è nata in maniera introspettiva ed è stata messa all’esterno solo a un certo punto. È nato improvvisamente un rapporto più intimo tra me e la chitarra, e pian piano questa intimità ha sentito un’urgenza di uscire allo scoperto e di comunicare quello che aveva prodotto. È un movimento che parte innanzitutto dall’interno.
Nel tuo nuovo singolo Senso si parla proprio di questo, ma anche dei piccoli gesti che possono fare tanto. Dove nasce l’idea per questo brano? Ci sono elementi autobiografici?
Il disco in generale è per me molto personale (il più personale che abbia mai scritto). È un disco intimo, e lo stesso vale per il singolo. Il brano trasmette meglio il concetto che è la base di tutto l’album: è un modo per guardarsi dentro ed è una sorta di meditazione che permette di arrivare alla conoscenza di sé stessi attraverso le piccole cose.
È un processo molto più semplice, sereno, leggero che dà la possibilità di affrontare comunque temi importanti e profondi. Se le piccole cose non sono apposto, è difficile che lo siano quelle grandi.
Quali sono i tuoi piccoli gesti quotidiani e quanto questi ti aiutano nella realizzazione della tua musica?
Da ormai 10 anni ho un piccolo rituale quotidiano: la mia giornata nasce con il rito del tè, e per me il giorno comincia quando io inizio a sentire che il tè è pronto. Questo è un gesto che mi accompagna ogni giorno e mi piace perché è un rito un po’ diverso da quello del caffè. Il tè porta a un momento di riflessione e di silenzio, con il quale io inizio sempre le mie giornate. Per me, a rappresentare invece la riscoperta delle piccole cose, sono un saluto, un sorriso, un atteggiamento di apertura verso l’altro e verso il mondo. È quello che cerco sempre di avere anche nelle giornate più difficili: con questi piccoli “trucchetti” si affronta tutto.
Tra i tuoi tanti successi, c’è anche il brano Si’ arrivata pure tu, la canzone originale del film Parthenope di Sorrentino. Cosa ci puoi raccontare di questo grande regista? Cosa ti ha lasciato lui professionalmente e umanamente parlando?
Ascoltare questo pezzo nel suo film è una gratificazione artistica a livelli eccelsi. Sorrentino è un regista che amo da sempre e anche da prima che iniziassimo a collaborare. Prima di questo progetto, avevamo lavorato insieme anche quando lui aveva diretto dei film e delle serie in tv in lingua inglese e io avevo fatto l’adattamento italiano per il doppiaggio. Per me che lo seguo da sempre e per me che nasco cinefilo, è stata la coronazione di un percorso.
Questa canzone è tra l’altro per me molto importante perché è il mio primo brano in lingua napoletana, uno stile a cui sono molto affezionato dato che sono originario della Campania. Il brano parla tra l’altro di un ritorno a casa, e questo concetto mi rappresenta davvero tanto. La bellezza di poterla vedere dentro un film così importante, di vedere delle scene che sono state modellate sulla mia canzone, è un traguardo che auguro a qualsiasi artista.
Sono molto contento, e penso che questa canzone da ottobre farà un percorso importante e lungo. L’idea è che verrà ascoltata in tutto il mondo perché Sorrentino ha una risonanza internazionale.
Come nasce invece questo progetto musicale?
Nasce proprio dall’esigenza di raccontare un ritorno a casa con la lingua originale di Napoli. Il testo narra che, alla fine di un percorso fatto di città diverse, alla fine si torna sempre dove tutto è iniziato. L’idea era appunto il riproporre la lingua napoletana che per me è molto importante.
Sono tuoi anche i dialoghi italiani dei film “The post” di Spielberg ed “Elvis” di Baz Luhrmann. Insomma, la tua è una carriera degna di riconoscimenti e successi. Hai qualche rimpianto? Qualche altro sogno nel cassetto?
Nessun rimpianto. Di sogni nel cassetto ne ho a ripetizione e ho sempre l’idea che li realizzerò. Ad esempio, avere una mia canzone nel film di Sorrentino era un sogno e si è avverato.
Cosa cambieresti del panorama musicale italiano odierno?
Viviamo in un momento in cui l’esposizione mediatica sembra superiore della proposta artistica. Va bene pubblicizzare il suo lavoro, ma è importante anche la musica. Mi dispiace che manchi una vera e propria industria indie, che manchi un raccordo tra l’essere uno sconosciuto ed essere mainstream. Nel tempo il divario tra questi si è allargata terribilmente, ed è sparita tutta una fascia di musica che era quella dei piccoli locali e dell’industria indipendente. Questa roba di mezzo è stata rasa al suolo dai social e dai talent. Emergere ora è diventato più diretto, perché si carica un pezzo su Spotify o Youtube e chiunque può ascoltarlo, ma di fatto farlo conoscere con la propria presenza sul palco è difficile. I grandi artisti fanno gli stadi, ma c’è molta più difficoltà e molta meno offerta nei locali da 300 posti.
Futuri progetti?
Da questo autunno ci concentreremo sul disco, sulla promozione e sulla parte live. Sarà molto bello tornare a suonare dal vivo per proporre l’album. Al momento ho appena terminato la colonna sonora di un cortometraggio di una regista romana, Francesca Romana Zanni. L’idea è ora quella di andare in parallelo sulla strada del cantautorato e anche del cinema, per cercare di unire queste due mie caratteristiche e per entrare nel circuito delle colonne sonore lavorando a stretto contatto con il cinema.
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