Asaad al-Ghamdi, 47 anni, insegnante dell’Arabia Saudita, è stato condannato a 20 anni di carcere per la sua attività su Twitter o X.
A rendere nota la vicenda l’organizzazione internazionale Human Rights Watch. La condanna è stata emessa dal Tribunale antiterrorismo il 29 maggio scorso. La polizia lo ha arrestato il 20 novembre 2022 nel corso di un blitz nella sua casa a Jeddah davanti a moglie e figli. Le forze dell’ordine hanno confiscato i dispositivi elettronici e perquisito ogni stanza. In quell’occasione non gli sono state comunicate le accuse né le ragioni del blitz.
Il 47enne è quindi stato portato in carcere dove è stato tenuto in isolamento per tre mesi, nonostante soffrisse di epilessia. Ha ricevuto la prima visita da parte dei familiari solo l’11 gennaio 2023. Alla fine di agosto il Tribunale ha nominato un avvocato d’ufficio che si è rifiutato di fornire a lui o alla sua famiglia qualsiasi documento giudiziario relativo al caso. La prima udienza del processo si è tenuta il 7 settembre 2023 a Riyadh. Solo allora lo hanno informato delle accuse contro di lui.
Secondo quanto comunicato da Hrw, Asaad al-Ghamdi è stato accusato di “sfidare la religione e la giustizia del re e del principe ereditario” e di “pubblicare notizie e voci false e dannose”. Al-Ghamdi è stato arrestato “per aver pubblicato post che danneggiavano la sicurezza del Paese sui siti di social media”. Il 47enne in alcuni tweet ha criticato i progetti relativi a Vision 2030. Si tratta del programma del principe ereditario Mohammed bin Salman per la diversificazione dell’economia del Paese.
Le stesse accuse sono state mosse al fratello di Asaad, Mohammed al-Ghamdi, insegnante saudita in pensione, condannato a morte nel luglio 2023. Saeed bin Nasser al-Ghamdi, un terzo fratello, è un noto studioso islamico saudita e critico del governo che vive in esilio nel Regno Unito. “I Tribunali sauditi infliggono condanne a cittadini semplicemente per essersi espressi pacificamente online. – ha affermato Joey Shea, ricercatore dell’Arabia Saudita presso Human Rights Watch – Il governo dovrebbe anche smettere di punire i familiari dei critici che vivono all’estero”.
Human Rights Watch ha ripetutamente criticato gli abusi dilaganti nel sistema di giustizia penale dell’Arabia Saudita. Compresi lunghi periodi di detenzione senza accusa né processo, il rifiuto di assistenza legale e il ricorso dei Tribunali a confessioni contaminate dalla tortura. “L’ennesima sentenza scandalosa dimostra che le autorità saudite sono disposte a reprimere ogni dissenso. – ha concluso Shea – Gli alleati dell’Arabia Saudita dovrebbero condannare queste sentenze e chiedere al governo saudita di rilasciare i prigionieri e di porre fine alle loro pratiche repressive”.
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