L’Agenzia delle Entrate starebbe contestando a Google una presunta evasione fiscale secondo l’indiscrezione riportata da Il Sole 24 Ore.
Sulla questione starebbero indagando la Procura di Milano ed il Nucleo economico-finanziario della guardia di finanza del capoluogo lombardo. Al centro dell’inchiesta una “stabile organizzazione immateriale italiana”. Per lo stesso concetto Netflix ha pagato all’Italia nel 2022 circa 55,8 milioni di euro. La stessa Google, invece, ha già pagato al fisco 306,6 milioni di tasse sanando contenziosi aperti da lungo tempo.
Nel dettaglio la presunta evasione fiscale stimata dalla guardia di finanza di Milano sarebbe di poco meno di 900 milioni. Le verifiche fiscali per gli anni 2015-2020 su Google, con sede in Irlanda, sono state chiuse un anno fa. L’ipotesi, come già accennato, riguarda l’esistenza di una stabile organizzazione italiana, con una sede di affari nel capoluogo lombardo. Di conseguenza l’imposta evasa (Ires) sarebbe stimata intorno ai 108 milioni.
A ciò si aggiungerebbe il mancato versamento delle royalties sui beni immateriali (licenze e software) fornite dalla società irlandese per oltre 760 milioni. Gli esiti della verifica sarebbero già stati trasmessi all’Agenzia delle Entrate per il procedimento tributario. In seguito all’accertamento, avrebbe chiesto il versamento di un miliardo, compresi gli interessi e la sanzione.
La cifra verrà discussa con la controparte e probabilmente si arriverà a un accordo per un importo minore. Non è la prima volta che la multinazionale americana finisce sotto indagine. Nel 2017 il gruppo di Mountain View, con versamento di 306 milioni, aveva chiuso le pendenze tributarie e sanato pure situazioni dei 15 anni precedenti. L’inchiesta penale, nella quale erano iscritti 5 manager per una evasione pari a 98,2 milioni di euro di imposta sui redditi di impresa, si era conclusa con un patteggiamento e quattro archiviazioni.
Verranno perciò avviate interlocuzioni tra la multinazionale del web e l’Agenzia delle Entrate fino alla definizione della cifra definitiva che potrà essere inferiore a quella contestata. A fare da spartiacque in questo tipo di indagini proprio il caso Netflix. Il fatto nuovo che ha cambiato le carte in tavola è stata la perdita di centralità del fattore umano nell’individuazione di una organizzazione stabile.
Nel caso di Netflix, infatti, le indagini della guardia di finanza avevano evidenziato che la piattaforma utilizzata dal gigante dello streaming era costituita da oltre 350 server distribuiti sul territorio italiano attraverso i quali passava il 100% del traffico video.
I pm sostenevano che, anche se la società Netflix International Bv risiedeva nei Paesi Bassi, possedeva in Italia una sede fissa di affari. Gli asset che l’azienda americana utilizzava in Italia erano cavi, fibre ottiche, computer, server e algoritmi, che avrebbero fatto rientrare Netflix nel concetto di materiale stabile.
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