I casi delle motovedette e dell’area Sar fanno parte di un quadro di “gestione” dei flussi dei migranti: tutto ruota intorno alla Tunisia.
“Lo stop alle motovedette è una bellissima notizia; brutta invece l’approvazione della Sar tunisina. Al pari della Libia, non riteniamo la Tunisia un Paese sicuro”. È il commento di Resqship, ong del Mediterraneo impegnata in queste ore a salvare i migranti in mare con il proprio veliero Nadir.
Sono due i casi paralleli all’attenzione del governo italiano e di diversi attori internazionali. Il primo riguarda la sospensione, da parte del Consiglio di Stato, del trasferimento di tre motovedette italiane alla garde nationale tunisina. A presentare ricorso erano state diverse organizzazioni: Asgi, Arci, ActionAid, Mediterranea Saving Humans, Spazi circolari e Le Carbet.
Motivo del contendere il Memorandum del 16 luglio 2023 tra Unione Europea e Tunisia che comprendeva, appunto, anche il trasferimento delle motovedette. “Come sostenuto anche dalle Nazioni Unite, fornire motovedette alle autorità tunisine vuol dire aumentare il rischio che le persone migranti siano sottoposte a deportazioni illegali“. Così Maria Teresa Brocchetto, Luce Bonzano e Cristina Laura Cecchini del pool di avvocate che segue il caso.
Il Tar del Lazio, in prima battuta, aveva ritenuto legittimo l’accordo contestato, considerandolo in linea con le decisioni prese a livello comunitario. Il Consiglio di Stato, però, ha sospeso tutto ritenendo “prevalenti le esigenze di tutela rappresentate da parte appellante”. La decisione definitiva è prevista per l’11 luglio prossimo.
“Le deportazioni di massa, – ha commentato Lorenzo Figoni di ActionAid Italia – gli arresti arbitrari e le violenze ai danni delle persone migranti dimostrano che la Tunisia non può essere considerata un luogo sicuro di sbarco. Come per la Libia, le autorità tunisine non possono quindi essere considerate un interlocutore nelle attività di soccorso”.
La questione, però, è che il governo italiano ritiene invece la Tunisia un Paese sicuro ed affidabile. Prova ne è la visita della premier Giorgia Meloni del 17 aprile scorso. Quel giorno sono stati firmati tre accordi: sostegno diretto al bilancio tunisino nel settore dell’energia rinnovabile e dell’efficienza energetica; linea di credito a favore delle piccole e medie imprese tunisine; intesa quadro per la cooperazione nel settore dell’università.
Ma non solo, perché la premier ha parlato in quell’occasione proprio di “quel” Memorandum. Che “ha gettato le basi per costruire quel modello di cooperazione paritario con i Paesi del Mediterraneo allargato, su cui il Governo italiano aveva investito così tante energie. Che oggi è diventato un paradigma di riferimento anche per il Continente europeo nel suo complesso”.
“Chiaramente noi sappiamo che la Tunisia non può diventare il Paese di arrivo dei migranti che arrivano dal resto dell’Africa. – ha detto Meloni al presidente tunisino Kais Saied – Su questo va sicuramente rafforzata la cooperazione. Vogliamo coinvolgere le organizzazioni internazionali, lavorare sui rimpatri, ma vogliamo lavorare anche e soprattutto sui flussi regolari”.
Ed inoltre: “È fondamentale che insieme lavoriamo per continuare a combattere gli schiavisti del terzo millennio, le organizzazioni della mafia che pensano di poter sfruttare le legittime aspirazioni di chi vorrebbe una vita migliore per fare soldi facili”.
A due mesi circa da quella visita la Tunisia ha formalizzato la propria Zona di ricerca e salvataggio in mare (Sar). Si tratterebbe di un passo a lungo richiesto dall’Italia per contrastare i flussi migratori illegali nel Mediterraneo centrale. Una questione puramente tecnica, insomma, ma dalla forte valenza politica.
“Nei fatti, cambia poco. – hanno commentato dalla ong Resqship – Adesso, però, in caso di barche in difficoltà in quell’area saranno avvertiti non solo i maltesi, ma anche i tunisini di cui non conosciamo le competenze. Noi non consideriamo la Tunisia un Paese sicuro: ci atteniamo alle regole ma dispiace che si vada in questa direzione. In Tunisia ed in Libia sono le mafie a regolare i flussi”.
Le giornate in cui si rincorrono le notizie giudiziarie e di politica internazionale sono le stesse che vedono tanti migranti in difficoltà nelle acque del Mediterraneo. Nelle acque europee, c’è ancora tanto da fare. “Solo quest’anno sono già morte più di 1000 persone nel Mediterraneo. – ha detto Vera Kannegiesser di United 4 Rescue – Quasi ogni giorno si verificano emergenze e quasi ogni giorno le autorità competenti non forniscono assistenza. Gli stati europei ignorano le richieste di aiuto, ritardano i soccorsi e lasciano annegare le persone. Non possiamo e non vogliamo abituarci a queste terribili notizie. Ogni vita umana conta e vale la pena salvarla”.
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