“La storia di Satnam Singh è la goccia che fa traboccare il vaso. Non è possibile che sia accaduta in un Paese come l’Italia, che qualche giorno fa ha organizzato il G7 davanti agli occhi del mondo”.
Sono le parole di Yvan Sagnet, attivista e scrittore camerunese, fondatore e presidente dell’Associazione NoCap, nata per combattere il caporalato, lo sfruttamento e il lavoro nero nel settore agroalimentare.
Satnam Singh è morto a 31 anni dopo all’ospedale San Camillo a Roma, dov’era ricoverato da lunedì in prognosi riservata in gravi condizioni a causa di un incidente sul lavoro nell’azienda agricola Lovato di Borgo Santa Maria, Latina. Era di origine indiana e aveva perso un braccio in un macchinario avvolgiplastica che gli aveva causato anche una frattura alle gambe.
Il datore di lavoro, Antonello Lovato, 38enne, è indagato dalla Procura di Latina per omicidio colposo, violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro ed omissione di soccorso. Satnam Singh è stato abbandonato davanti casa con il braccio tranciato, poggiato sopra una cassetta della frutta ed è rimasto per circa 90 minuti senza l’arto prima di essere trasportato in elisoccorso al San Camillo. Era arrivato tre anni fa con la moglie Alisha, conosciuta come Sony, dall’India. La Procura di Latina ha disposto l’autopsia.
“Questa è una storia agghiacciante, vergognosa. Vengono i brividi perché un essere umano la cui mano è rimasta tagliata sul posto di lavoro e l’imprenditore, invece di chiamare il pronto soccorso, lo lascia fuori casa come fosse spazzatura. Non può essere possibile in un Paese come l’Italia, che qualche giorno fa ha organizzato il G7 davanti agli occhi del mondo”, dichiara ai nostri microfoni Yvan Sagnet.
Lovato è assistito dagli avvocati Stefano Perotti e Valerio Righi e non ha negato di aver caricato Satnam Singh in auto per portarlo a casa. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, era alla guida del furgone. La moglie Sony gli avrebbe chiesto più volte di portarlo in ospedale, ma la versione del datore di lavoro è diversa. Lei “urlava casa, casa” e io li ho accompagnati lì”. E una volta scesi dal furgone “un uomo aveva chiamato l’ambulanza e io sono andato in Questura a spiegare cosa era successo”.
Secondo le prime ricostruzioni, Satnam Singh e la moglie Sony lavoravano insieme per 4-5 euro all’ora. “Non si può andare avanti così. Questo episodio è la goccia che fa traboccare il vaso”, denuncia l’attivista. “Queste tragedie accadono da anni. Come dimenticare i 16 braccianti morti nel 2018 nel Foggiano? O Paola Clemente? Ce ne sono tanti altri. E di fronte a questo lo Stato cosa fa? È latitante e mette in campo misure spot che non risolvono alla radice il problema dello sfruttamento nel nostro Paese. Mi auguro che finalmente qualcuno inizi a fare qualcosa di fronte a questa ennesima tragedia”.
Satnam Sing era un clandestino, non aveva un contratto di lavoro. Uno dei braccianti che lavoravano con lui ha deciso di testimoniare e la Flai Cgil sta chiedendo permessi di soggiorno per motivi di giustizia, in modo da permettere a chi era presente di raccontare ciò che ha visto.
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