Secondo il rapporto diffuso in queste ore da Ican sulla spesa per le armi nucleari, nove Paesi hanno speso nel 2023 oltre 91 miliardi di dollari.
Nel 2023 Cina, Francia, India, Israele, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Regno Unito e Stati Uniti hanno speso complessivamente 91,4 miliardi di dollari per le loro armi nucleari. Significa che i soli nove Paesi dotati di armi nucleari al mondo hanno speso per gli armamenti 173.884 dollari al minuto, o 2.898 dollari al secondo. Una spesa aumentata di 10,7 miliardi di dollari rispetto al 2022.
I dati provengono dalla quinta edizione del rapporto “Surge: 2023 Global nuclear weapons spending” elaborato dall’Ican (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) organizzazione no-profit per il bando delle armi nucleari fondata a Melbourne nel 2007. L’Ican ha ottenuto nel 2017 il Premio Nobel per la Pace.
Nel dettaglio, sono stati spesi complessivamente 91.393.404.739 dollari per ammodernare o espandere gli arsenali a disposizione. I soli Usa hanno investito 51.5 miliardi di dollari. Una spesa superiore a quella di tutti gli altri Paesi messi insieme e rappresenta l’80% dell’aumento per le armi nucleari nel 2023. A seguire la Cina con 11.8 miliardi di dollari e la Russia con 8.3 miliardi di dollari. La spesa del Regno Unito è aumentata in modo significativo per il secondo anno consecutivo, con un aumento del 17% a 8.1 miliardi di dollari.
“L’accelerazione della spesa – ha detto Alicia Sanders-Zakre, coautrice del rapporto – per queste armi disumane e distruttive negli ultimi cinque anni non sta migliorando la sicurezza globale ma rappresenta una minaccia globale. Chi trae profitto da questa impennata della spesa nucleare?”. Una domanda alla quale lo stesso rapporto prova a rispondere.
A livello globale, i Paesi dotati di armi nucleari hanno contratti in essere con diverse aziende per la produzione di armi nucleari per un valore totale di almeno 387 miliardi di dollari. Nel solo 2023 le società coinvolte nella produzione di armi nucleari hanno ricevuto nuovi contratti per un valore di poco meno di 7.9 miliardi di dollari. L’industria ha guadagnato almeno 30 miliardi di dollari per lo sviluppo e la produzione di armi e dei loro componenti chiave.
Sono ben 20 le aziende citate nel rapporto. A fare la parte del leone Airbus ma anche Boeing, General Dynamics, Rolls-Roice. Nella lista anche l’italiana Leonardo, il cui ruolo approfondiremo più avanti sulle nostre pagine. Così come approfondiremo il ruolo dell’Italia. Il nostro Paese non ha a disposizione un proprio arsenale. Bensì “detiene”, come membro Nato, armi nucleari statunitensi sul proprio territorio come parte di un accordo di condivisione. All’Aeronautica sono state assegnate circa 35 bombe B61, che si trovano nelle basi aeree di Aviano e Ghedi. L’Italia, inoltre, non ha ancora firmato né ratificato il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Tpnw).
Tornando all’industria delle armi, questa a sua volta investirebbe milioni di dollari (118 milioni nei soli Usa e Francia) per attività di lobbying e per provare ad influenzare la politica e l’opinione pubblica. In particolare si spenderebbero fondi per i cosiddetti “think tank”, ovvero gruppi di studio che elaborano poi analisi e ricerche. Gruppi che in teoria dovrebbero essere “indipendenti”.
“La ricerca – hanno fatto sapere dall’Ican – ha svelato il ‘ciclo di influenza’. L’industria delle armi nucleari, però, è fallibile. La corsa agli armamenti è costosa ed è sempre più difficile difenderla davanti ad un pubblico che ha assistito all’inizio dell’era delle armi secondo Robert Oppenheimer (il ‘padre’ della bomba atomica, ndr)”. L’Ican ha quindi lanciato un appello per la “settimana d’azione” prevista dal 16 al 22 settembre 2024.
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