L’economia del mare in Italia vale 161 miliardi ma è il settore del Paese più a rischio a causa della crisi climatica e non solo.
Pesa, inoltre, il mancato completamento di Natura 2000, il principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità, per cui l’Italia è sotto procedura d’infrazione dal 2021. I dati sono stati diffusi da Legambiente e da Life Sea.Net nell’ambito del Blue Economy Forum. Provengono da un rapporto che verrà diffuso a luglio e che iNews24.it ha visionato in anteprima.
Nel documento redatto dall’Osservatorio sull’economia del mare OsserMare e dal Centro Studi delle Camere di Commercio “Guglielmo Tagliacarne” si legge che la filiera del mare genera un totale di 161 miliardi di euro, tra valore aggiunto diretto e indiretto, il 9,1% dell’economia nazionale. Le regioni del Centro e del Mezzogiorno sono protagoniste nel settore. Il numero di certificazioni ambientali attivate dalle imprese in questo settore si attesta al 17,8% rispetto all’8,3% del totale delle imprese del Paese.
“A livello europeo la blue economy può essere determinante per centrare gli obiettivi climatici posti con la scadenza al 2030 e quelli riportati nel Green Deal europeo”, ha commentato Giorgio Zampetti direttore generale di Legambiente. Il valore della filiera è composto dall’economia del mare vera e propria per 59 miliardi di euro e dal valore aggiunto creato nel resto dell’economia per 102 miliardi di euro.
I settori di riferimento riguardano le attività di ricerca, regolamentazione e tutela ambientale, l’industria delle estrazioni marittime, i servizi di alloggio e ristorazione, la filiera ittica, le attività sportive e ricreative, la cantieristica, la movimentazione di merci e passeggeri via mare.
Nel 2023 le imprese crescono nell’alloggio e nella ristorazione, andando ad incidere per il 48,4%. Il 9% delle imprese della filiera è condotta da giovani mentre il 22,4% delle aziende è in rosa. Sull’economia del mare incidono soprattutto le imprese del sud. Il segmento in maggiore espansione è quello della nautica da diporto con un +15,9% rispetto al triennio precedente.
Una blue economy all’apparenza “solida” ma che rischia di soccombere sotto i colpi del cambiamento climatico e quindi dell’innalzamento dei livelli del mare, del cambiamento della temperatura delle acque e della loro acidificazione, di inondazioni ed erosioni. Non solo: pesano anche la pressione della pesca eccessiva e l’inquinamento che stanno mettendo a dura prova la resilienza degli ecosistemi marini. E ancora: perdita della biodiversità, declino degli stock ittici, specie aliene invasive e gestione delle aree marine protette. Inoltre attualmente solo un prodotto del pescato italiano si trova nell’elenco dei prodotti Dop o Igp riconosciuti dall’Unione Europea. Ovvero le acciughe di Monterosso provenienti dal mar Ligure.
“I dati ci dicono chiaramente che l’economia del mare è in forte crescita ma bisogna evidenziare che potrà subire pesanti danni, e in maniera irreversibile, a causa del cambiamento climatico. – ha commentato Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente – Abbiamo presentato un pacchetto di proposte mirate a tutelare e valorizzare la biodiversità dei mari in Italia. E che allo stesso tempo, con una strategia integrata e coordinata, potranno dare impulso ad una blue economy più sostenibile e green, e a tutti i settori ad essa connessi”.
Tra le proposte di Legambiente l’incremento delle aree protette e le zone di tutela integrale, il rafforzamento della rete Natura 2000, il miglioramento del monitoraggio della biodiversità marina, la promozione della gestione integrata della costa.
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