La serata in un locale dei Navigli di Milano, la notte da incubo in cui è stata stuprata e le cure continue: poi è stata licenziata.
Ad un anno circa dalla violenza l’azienda per la quale lavorava la 32enne vittima di stupro le ha consegnato infine la lettera di licenziamento. Secondo la società di Assago, in provincia di Milano, specializzata nel commercio di brand di lusso, la manager torinese vittima dello stupro non era più efficiente, dunque l’atto sarebbe per giustificato motivo, con una buonuscita di 5mila euro.
Il legale della donna ha già impugnato il licenziamento. E dire che subito dopo i fatti l’intera società, per la quale lavorava da tre anni, si erano stretti intorno a lei: “Hai tutto il nostro sostegno, non mollare”. La violenza è avvenuta a marzo 2023. I giovani avevano trascorso la serata in un locale dei Navigli di Milano, abusando di alcol. La festa si è trasformata in un incubo. La donna è stata stuprata da tre persone che considerava amici. I tre sono stati poi identificati ed arrestati dai carabinieri, mentre per la 32enne è cominciato il calvario in ospedale.
Dopo l’estate trascorsa tra sedute e ricoveri, e quindi sei mesi di mutua, la donna ha provato a tornare al lavoro a settembre. La 32enne, però, aveva ancora bisogno di cure, mostrandosi spesso profondamente triste. L’11 marzo scorso l’epilogo, con la consegna della lettera di licenziamento dalla posizione di Service merchandiser che ricopriva “ridistribuendo le sue attuali mansioni tra altri dipendenti attualmente impiegati presso di noi. La informiamo che, dopo attenta verifica, abbiamo constatato l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni“.
“Come le è noto – ha scritto l’azienda – il mercato in cui opera la società richiede il raggiungimento e il mantenimento di adeguati livelli di profittabilità. Al fine di conseguire tali obiettivi si rende necessario efficientare i nostri costi, aumentando la marginalità della nostra operatività”. L’avvocato Alexander Boraso, legale della 32enne, ha deciso di impugnare il licenziamento. “La verità – ha spiegato Boraso – è che, purtroppo, erano finiti su delle chat alcuni filmati della violenza e per l’azienda sarebbe stata una perdita di credibilità. E poi non avevano tempo di aspettarla, di permetterle di riprendersi al cento per cento sia fisicamente che psicologicamente”.
Intanto il 16 gennaio scorso si è tenuto il processo con rito abbreviato per i tre imputati per violenza sessuale di gruppo. Il gup di Milano Sofia Fioretta ha condannato un 23enne di Padova a 3 anni e 7 mesi di reclusione e rinviato a giudizio gli altri due. “Nel corso della serata la lavoratrice – si legge nelle motivazioni della sentenza – è parsa disponibile ad avere rapporti sessuali con alcuni degli imputati. Ma quello che è certo è che, qualche ora più tardi, lei non era assolutamente in grado di esprimere un valido consenso, perché stava molto male a causa dell’alcol ingerito, era in condizioni tali da non comprendere quello che stava facendo e l’imputato, invece, era pienamente consapevole di tale circostanza”.
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